POLITICAMENTE SCORRETTI

Almanacco Illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

Motorini politicamente scorretti

La cultura è potere, la possibilità di capire e prevedere quello che potrà accadere prima degli altri. Da un grande potere derivano grandi responsabilità, ma anche probabilmente la difficoltà a immedesimarsi nel pensiero degli altri, pensando che il nostro sia l’unico possibile.

La società in cui è immerso AIDM, e che cerchiamo di fissare attraverso la lettura del nostro mondo a due ruote e motore è quella che noi “occidentali”, europei, consideriamo il massimo dell’evoluzione umana, dello sviluppo, del politicamente corretto, dell’individualismo.

Una società mediamente anziana, dove proprio nel nostro Paese ha un’età media superiore ai 39 anni; in cui i giovani dicono che non hanno le nostre stesse prospettive economiche, ma dove sfido a trovare un ragazzo che abbia voglia di andare a fare il marmista, per dire. Ma già vedete che questo è a tutti gli effetti un discorso da boomer, da vecchio che si lamenta di come si stava bene prima, di come i giovani siano troppo sensibili, impreparati ad affrontare la vita, come se questi ragazzi non li avessimo cresciuti noi, ma fossero spuntati da sotto un cavolo.

Viviamo in un’area morale di continuo senso di colpa o quantomeno incertezza fra la consapevolezza di un mondo che avrebbe una enorme necessità di tramutare radicalmente le nostre abitudini per cause legate ai mutamenti climatici, al fatto che il 60% circa della biomassa animale del Pianeta serve a nutrirne il 30% (noi umani) e dove la deforestazione selvaggia è finalizzata alla produzione di foraggio per dare da mangiare ad animali di allevamento che scoreggiano e inquinano l’atmosfera, senza considerare le abitudini legate a riscaldamento e condizionamento dei nostri ambienti, l’inquinamento dei mezzi di trasporto.

Proprio in merito a quest’ultimo tema, ovviamente, pensare che un ragazzino di 14 anni possa essere esaudito dal genitore (boomer ma consapevolmente colpevole) quando richiede insistentemente un motorino che, quasi subito elaborato allo sfinimento delle fasce, emetterà in atmosfera un gas azzurrognolo contenente olio incombusto e nitroglicerina sembra una roba da dinosauri.

Ma come?! Ravaniamo con ruspe a gasolio montagne intere per trovare il litio per le batterie da mettere su quegli odiosi monopattini coi quali i ragazzi girano per le strade, ma di profilo, e dovremmo tornare a un medioevo di divertimento del genere? Pericolosissimi motorini strombazzanti coi quali i ragazzi imparano una pericolosissima mobilità individuale praticamente infinita, al posto di un mezzo di locomozione pubblico a biometano, prodotto acquistando biomassa arrivata dalla Cina tramite container che passa dal Canale di Suez, dove una tribù di Utu, che tradiscono una conoscenza della fragilità e delle contraddizioni della nostra società a dir poco inquietante possono bloccare mettendoci in ginocchio in una settimana?

È fin troppo semplice scadere nel boomerismo nostalgico, quello di chi si ricorda di quando coi motorini si stava fuori a giornate intere, sporcandoci le mani, senza telefonini, a rompere le scatole alle ragazzine o a giocare a pallone in un piazzaletto pieno di buche. Un boomerismo pericoloso quando si parla di diritti civili e rispetto dei diritti delle minoranze, soprattutto quando si pensa che il politicamente corretto sia mancanza di libertà di offendere o discriminare liberamente chi è diverso dalla massa, dalla “normalità”. Errore che non commetteremo e non siamo disposti a tollerare. Assistere con dispiacere allo smantellamento di un mondo culturale fatto di una pillola che va giù, se accompagnata da un poco di zucchero ma che ci ha fatto sognare che la fantasia di un povero spazzacamino e di una serva malvestita poteva portarci in mondi (un poco lisergici, ammettiamolo) fantastici e animati da colori meravigliosi; che persone affette da una malattia genetica, viventi estromessi dalla civiltà, dai nomi ridicoli e attitudini personali aberranti potessero dare rifugio a una bellissima fanciulla dispersa nella foresta, portando alla naturale conseguenza di infinite barzellette a tema; sentir dire che personaggi delle Fiabe Sonore dove una persona di colore, oltre che naturalmente brutta, era anzitutto un neGro, ma che ci hanno educato alla manualità di un ceffone sul giradischi portatile per farlo smettere di saltare per interrompere il loop narrativo quando si incantava; beh, dover rinunciare a tutto questo in effetti ci inquieta non poco.

Sta a ognuno di noi cercare di vedere la luce in fondo al tunnel, dove al momento ci sentiamo schiacciati, dove possiamo ancora vivere la girata la domenica a smotazzare sui Passi o in mulattiere dove è consentito, guidati a guida professionale che costa, sì, ma consente di ottimizzare il pochissimo tempo a disposizione rubato all’incessante lavoro, alla produzione e al consumo per far girare l’economia. Oppure basta moto! si va tutti a piedi, nel bosco, a fare una girata col cane – Che comunque caca, e devo raccoglierla col sacchetto. Biodegradabile, ovvio – ma con la naturale conseguenza che l’economia non gira, e il nostro mondo non starebbe più in piedi?

Assistere alla scena, per noi quasi commovente di un gruppo di ragazzetti su cinquantini a miscela, benché a 30 km/h in aree metropolitane, altrimenti quando attraverso col deambulatore mi centrano in pieno, è probabilmente il segnale di un qualcosa destinato sì a estinguersi, ma anche del cambiamento che proprio e solo i ragazzi possono escogitare.

Ragazzi che sempre più spesso si cancellano dai social, adesso che meglio di noi capiscono che rubano loro il tempo di vivere (tenete conto che, se avete letto fin qui, almeno 7 minuti del vostro tempo è stato dedicato alla lettura di questo pezzo, e avevate finito di fare la cacca due video di Angelo Duro fa); che si imbrattano smontando motorini, che imparano una manualità e passano il tempo su un piazzale a sdrucinarsi i ginocchi tentando di impennare, quando ognuno di noi ha da raccontare storie agghiaccianti di sfide mortali finite tragicamente nei sabati sera degli anni ‘80.

Ovviamente non vogliamo ripetere gli stessi errori, le stesse aberrazioni, e il mediare continuo è forse la strada migliore per un reale progresso. Forse, proprio per questo, anche quei motorini non sono che uno dei tanti tasselli di una società contraddittoria e complicata, che non è l’unica possibile, e che non necessariamente porterà a qualche tipo di miglioramento.

Almanacco oltranzista

di Kiddo & Ruggeri

Vecchi, oltranzisti!

I vecchi si comincia ad apprezzarli, o quantomeno non disprezzarli così tanto, solo quando ci si accorge che prima o poi diventeremo come loro, o che i prossimi saremo noi.

Arriva un momento, più o meno l’età di adesso degli autori di AIDM, in cui si ha una visione dalla vetta, dalla sommità di una curva ascendente e poi, inevitabilmente, discendente, della propria esistenza.

Dell’esperienza: accumulata e accumulabile, che si capisce non infinita ma ampliabile secondo volontà, forza ed energia, impegno, tenacia e curiosità verso le cose del mondo. E culo. Dello scorrere del tempo: inesorabile ma non necessariamente nemico se affrontato in maniera matura. Che non include, ovviamente, tingersi i capelli. Della salute: mentale alla ricerca di un equilibrio difficile e continuo fra il lavoro, che rischia di diventare una droga capace di fagocitare tutto il tempo a disposizione a discapito di famiglia, amici e svago, che sono invece le cose fondamentali per la felicità di una persona; e salute fisica, importantissima, tanto da essere preservata come un bene essenziale per iniziare la discesa nel migliore dei modi ma soprattutto non nostra proprietà, o almeno non soltanto, poiché saranno le persone vicine che dovranno assisterci se dovesse venire a mancare. Insomma, da malati, si rompe altro che ‘hoglioni.

Il vecchio Motociclista è quello un pezzo avanti nella discesa, lo vediamo che continua ad andare, complice senz’altro la discesa, e in buona misura lo invidiamo, consapevoli che tutti i calcoli di cui sopra li ha già fatti, ma non può che essere felice di avere tempo, energia e curiosità per continuare a fare quello che più gli piace, ovvero stare in sella alla moto, continuare a esplorare posti nuovi, magari guidato da qualcuno più giovane che, animato dalla sacrosanta voglia di scoprire nuove strade e condividerle, se lo porta dietro. Il vecchio è un po’ una palla perché a volte devi aspettarlo quando vuoi divertirti in banda e temi che ruzzoli sul salitone fangoso, o sul Passo di pedina quando perdi la sensazione del peso e ti sembrava di volare: non vuoi perdere il ritmo e pensi “ma se stava a fare l’orto”, e invece poi lo vedi che durante la giornata ti raggiunge sempre prima, fino a che non capisci se è lui che ha preso il ritmo o sei te che stai inevitabilmente crollando.

Il vecchio gioca tutto sulla costanza di rendimento. Parte piano e arriva piano, ha mestiere, conserva le energie, e ti fotte nel finale. È la dimostrazione vivente, consolante per molti versi, che quella voglia inesauribile di stare in sella è proprio tale. Cambieranno i modelli, diventeranno unicamente di un tipo solo, il bicilindrico frontemarcia che “lo vuole il mercato”, e te che ti domandi esattamente “quale?!”, ma il Vecchio si adeguerà. Ha guidato qualsiasi cosa del resto, dal trial alle quattro cilindri supersportive, dai bombardoni supermoto ai moderni elettrodomestici ipertecnologici, ma lui non scenderà dalla sella.

I Vecchi si commuovono, si emozionano quando arrivano in un posto particolarmente bello, e sai che sapranno apprezzarlo maggiormente dei più giovani, confrontandolo con un’infinità di altri luoghi meravigliosi conquistati in sella alla moto; non hanno fretta di ripartire perché devono fare innanzitutto pipì. I Vecchi sono anche quelli che ti danno più soddisfazione, soprattutto quando pronunciano la frase “qui ci devo tornare con mia moglie”, la compagna di un’infinità di viaggi, in quel momento a preparare le lasagne per i nipoti che vengono a pranzo. E capisci che quel posto allora ha davvero qualcosa di speciale.

I Vecchi, fino a poco tempo prima, camminavano come dei missili ed era un casino stargli dietro; poi, o hanno battuto qualche musata soda in terra e si sono resi conto del discorso della salute di cui sopra, con relativa fetta di merda da parte dei familiari, neanche fossero dei bambini; oppure hanno iniziato a rendersi conto dei pericoli e hanno chiuso un quartino di gas, cosa che li ha ricondotti giustamente nel loro box di Vecchi Oltranzisti.

Il Vecchio Oltranzista è in realtà amato, ammirato, rispettato, considerato e soppesato gravemente quando emana qualche verdetto tecnico nelle chat o la mattina al bar prima di partire; il Vecchio è lo spirito della compagnia, il collante, l’esperienza e il vero amore profondo per ciò che facciamo, per ciò che siamo. È lo specchio del nostro futuro, a volte l’invidia per ciò che riesce ancora a fare nonostante l’età, il timore che non è poi così lontano il tempo in cui saremo come lui, ma anche la consapevolezza che quella passione, quella voglia di esplorare, stare in sella, sentire il vento in faccia, provare l’emozione di partire a scoprire nuove strade, nuovi posti non ci passerà mai. Per fortuna.

Se vi siete riconosciuti in quest’ultima parte, e magari vi siete commossi, siete dei vecchi. E sicuramente domenica uscite in moto.

LA PAURA DELLA MOTO

Almanacco Illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

La moto Camp

La moto è un oggetto da arredare, da personalizzare, da rendere esteticamente e stilisticamente congrua e coerente, anche, ma non solo, in relazione alla funzione che deve svolgere.

La Moto Camp è, nel campo dello stile, della moda, il superamento della funzione ma anche della definizione di trash, spazzatura, per far diventare un ferro rugginoso un mezzo, per citare Virzì, “elegantemente allezzito”; qualcosa di vissuto intensamente ma che proprio in funzione di questo ancora più affascinante.

Il Dominator con la carena tenuta insieme dai rivetti che diventa un orgoglio di stile e di vita vera vissuta, semplicemente perché appartenuta a entrambi gli autori di AIDM; la 883 da flat che pare fatta di corten tanta è la ruggine che la tiene insieme e che non è mai stata più lavata dopo l’ultima gara vinta sotto l’acqua, a rischio di diventare un oggetto di arredo; la Guzzi 1000 Convert che si avvia al milione di km, mantenuta non restaurata che apparteneva a un vecchietto del paese che ci andava a fare l’orto tutti i giorni con le cassette di plastica sul portapacchi fatto di tubi Innocenti, poi reclutata dal giovane stilistico e un po’ costruito con abbigliamento vintage per andare a fare l’aperitivo o alle parate dei gentlemen.

La moto Camp è la moto da portare in fondo, che va, ma non merita di spenderci soldi per rimetterla a modo, e continua a portarti a giro.

Ovviamente anche nel campo dell’arredo moto si può scadere nel trash, nella spazzatura o più generalmente nel cattivo gusto: la maxienduro non più freschissima agghiddata con frecce e specchietti in similcarbonio; la carenata spogliata, senza altre finiture con tubi e componenti non gradevoli lasciati ignudi, a vista, o peggio tenuti assieme col nastro americano; la custom dove le antiche cromature sono state sostituite da innumerevoli bolle di ruggine e riverniciata a bomboletta. Semplicemente per cercare un triste riadattamento alle mode che quasi sempre risulta malriuscito, malconcio, degno di essere apostrofato come “un quarto al cassonetto dell’indifferenziato”.

In genere quello che è superato dalla moda in altri campi può tendere alla spazzatura: le stampe senza cornice similamericano anni ‘50 che arredano gli studi dentistici; gli indumenti multispallini a cipolla (camicia, giacca, cappotto) che si sovrappongono; gli acetati o i pile che abbiamo esaurito a passeggiare col cane nel bosco o abbiamo elargito ai bidoni della Caritas. Ma già in quest’ultimo caso un bel giorno il tu figliolo ti si presenta tutto orgoglioso con una maglia degna di un campo profughi bosniaco acquistata su Vinted e ti fa capire che alla fine quei pantaloni tutti rappezzati che ti eri autoinflitto strusciando e consumando il tessuto con un coltellaccio da bistecca trent’anni prima, alla fine potevano anche fare felice la nuova generazione, se non li avessi adoprati per asciugare l’olio sotto al Guzzi V10. O la maglietta del Fauno, storico pub fiorentino, gloriosamente conquistata con la tessera a punti dopo le prime 50 birre, mai più ritrovata e mai abbastanza rimpianta.

Nel campo moto è sicuramente lo stesso. Il riuso, la riscoperta, il gusto del vintage è ancora più a breve termine; e come l’obsolescenza della tecnologia, acuita recentemente dallo sviluppo dell’elettronica e delle normative antinquinamento, così il corso e ricorso del gusto ha cicli anche più brevi che nelle altre mode. Un bicilindrico raffreddato a olio di una decina d’anni fa diventa un oggetto di culto, perché ci si ricorda di quanto ci faceva godere; una mono dual considerata una vecchia carretta acquista quotazioni di mercato imbarazzanti; il segnale che il marketing di una grandissima azienda riscopra il supermotard ben quindici anni dopo la perdita di interesse del pubblico può diventare il motore della corsa all’acquisto di ogni Duke 640 color verde pisello presente sul marketplace di Feisbuk.

Il Camp è il trash che diventa stile, orgoglio di esibire che implica la domanda “perché non sono come loro?”

Usare una moto vecchia allo sfinimento, non solo per ragioni economiche ma perché a guardarla evoca imprese gloriose, fosse anche solo un Multistrada 1000 pieno di graffi e ossidazioni e andare fiero dei segni e della vecchiaia. Questo è il Camp.

Il problema è riuscire a non superare la sottile linea rossa che separa il cattivo gusto, la treshata, l’accrocchio inguardabile con la citazione, la celebrazione, la memoria e il recupero di un qualcosa che si è amato o che altri hanno intensamente vissuto collezionando storie da raccontare.

A volte, va detto, col rischio di non scrivere la propria.

Il limite fra il trash e il camp è quindi molto difficile da stabilire, ma potremmo infine sentenziare che finché un oggetto riesce a mantenere una certa funzionalità, possiamo anche considerarlo come Camp, con una sua dignità e senso estetico. La finta carena del KLR 650 prima che divenisse Tengai, il doppio faro giallo dell’XL 650 dell’Acerbis, lo scarico sottomotore QD del GS 1100, sono tutti particolari a suo tempo al limite del trash, pronti a fare la felicità di un amante del Camp. E non siamo entrati nella sfera dell’abbigliamento, ancora più vasta.

Se la moto coperta di ruggine ha la sola funzione di essere esposta in una vetrina di un negozio di arredamento fra camicie e jeans costosi, è un quarto al cassonetto. E ci dispiace tantissimo quando le vediamo.

A OGNUNO LA SUA MOTO

Almanacco illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

A ognuno la sua moto

Si fa presto a dire “moto”. Anche all’occhio del più vile dei profani risalterà all’occhio molto chiaramente la diversità di forme, colori, dimensioni, stili delle motociclette radunate in un piazzale su un Passo d’estate.
Anche se fossero tutte di un raduno della stessa marca e modello probabilmente si farebbe molta fatica a trovarne due perfettamente identiche, anche senza sconfinare nello sconfinato universo delle personalizzazioni, customizzazioni, che terremo presente come una infinita appendice al ragionamento che ci apprestiamo a fare in questa pagina di AIDM.
Le Case motociclistiche sembrano impegnate nell’eterna lotta di differenziare, colorare, evolvere ciascun modello, che spesso non dura in catalogo più di una stagione con la stessa “taratura delle sospensioni” (che non significa in effetti un cazzo, qualora ve lo siate mai chiesti), con le stesse dotazioni o addirittura cilindrata; quasi che ad ogni Motociclista si voglia offrire la moto sviluppata personalmente per lui.
Dice questa moto per chi l’avete pensata?! Per Marco, lui! E Marco si sente tutto felice di avere la SUA moto, proprio di quel colore, quell’anno, quella cilindrata, quella taratura delle sospensioni…
Ovviamente scegliere una moto è un atto condizionato da diversi fattori. Statisticamente sopravvive ancora quello che non ci capisce una mazza. Entra dal concessionario dove è sempre andato, trova un cancello in offerta, è la sua! Ed esce più felice di Marco. Te sei l’unico Motociclista che conosce, e benché ti debba 7.000 euro e non risponda mai al telefono ti chiama e ti dice “ho comprato la moto” “che moto è?” gli chiedi un po’ ingenuamente. “Non lo so era in offerta”.
Il vero paradigma per la scelta della moto giusta è ovviamente l’uso che si intende farne. Ovvero, si può anche pensare di andare a fare cross, ma con una roadster si deve essere davvero bravi per provarci. Non che qualcuno non ci riesca, ovvio, ma scegliere un modello adventouring, per esempio, in base alle proprie capacità e che abbia le caratteristiche giuste quali comodità, potenza, peso, erogazione, dotazione elettronica ma soprattutto costo giusti non è semplice. Se si pensa che ci dovremo anche andare a lavorare durante la settimana, sarà ancora più difficile, senza considerare la scelta della gomma giusta: pensare di avventurarsi in tangenziale con un tassello peso la mattina che si inizia il turno alle 6 mentre piove, non è consigliabile. Uno dei fattori maggiormente condizionanti da sempre è il fattore F. Potreste aver messo gli occhi addosso alla più incredibile delle creature a motore tipo una HP2 uscita di vetrina a 5.000 euro, se la donna non ci sta comoda potete anche mangiarvi il cilindro ma in garage non la metterete mai. Anche in questo caso con le dovute eccezioni. Non sono rari i casi di coppie che giravano l’Europa in tempi in cui non si aveva tutti sti bisogni da fighette tipo rimanere immuni dai reumatismi oltre i 35 anni o evitare di ustionarsi con lo scarico a ogni viaggio, e si andava in Scozia in due, in tenda, con l’851; o in Portogallo, sempre in coppia, con mezza sella di un Superténéré 750 (caso personale).
Al fattore uso che si intende farne si somma il più insidioso, ovvero il consiglio degli amici. Si può rischiare di rimanere invischiati in una Chat di Uozàp per decenni con un branco di più o meno sconosciuti che elargiscono consigli seduti sul cesso col telefonino in mano senza prendere una decisione. “stai scherzando?! Una GS 1200 con 24.000 km, ma del 2013? lo sai che le prime avevano questo e quello…” e te ovviamente desisti, anche perché ogni moto, ogni modello, ogni colorazione potrà essere criticabile e gli “amici” sapranno darsi il cambio sulla tazza del cesso per regalare consigli (quasi sempre non richiesti). “Una Buell?! Ma sei pazzo?! Lo sai che non si trova più niente di pezzi? E poi che diavolo te ne fai?!” E in effetti trovare una risposta a questa domanda non è facile. Poi invece una mattina vai lì coi soldi in mano perché sei felice che il tipo dei 7.000 euri ti ha pagato, incredibilmente, e la Buell te la metti in garage lo stesso, ci esci tre volte l’anno ma quando la accendi e pensi che cavolo l’emozione che ti regala quel cancello non te l’ha mai data nessun frullatore, e se rimango a piedi ci rimango felice lo stesso perché so che me la sono cercata ma fino a quel momento cavolo se ho goduto!
Ed è in quel momento che capisci che non è tanto importante l’uso che ne dovevi fare, se andava meglio una taratura delle sospensioni o un’altra (che davvero non avresti saputo riconoscere la differenza neanche se le avessi provate in rapida sequenza) ma è la libidine che ti ha dato quella moto a essere importante, e che la moto giusta non era quella che gli amici pensavano fosse quella giusta per te, che se avessi preso l’Himalayan “così magari vai a farci un po’ di sterrati” non ti avrebbe reso altrettanto felice delle Kawa 300, che ti ha preso occhi e cuore semplicemente perché è verde, e nessun’altra ti è rimasta così nel cuore. La amerai e sarà quella giusta per te.
La moto, è bene comprare quella che ci piace; non quella che gli amici, il marketing, la funzionalità (tutta da dimostrare) dicono che sia la migliore per noi.
Difficilmente ce ne potremo pentire.

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