LA PAURA DELLA MOTO

Almanacco Illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

La moto Camp

La moto è un oggetto da arredare, da personalizzare, da rendere esteticamente e stilisticamente congrua e coerente, anche, ma non solo, in relazione alla funzione che deve svolgere.

La Moto Camp è, nel campo dello stile, della moda, il superamento della funzione ma anche della definizione di trash, spazzatura, per far diventare un ferro rugginoso un mezzo, per citare Virzì, “elegantemente allezzito”; qualcosa di vissuto intensamente ma che proprio in funzione di questo ancora più affascinante.

Il Dominator con la carena tenuta insieme dai rivetti che diventa un orgoglio di stile e di vita vera vissuta, semplicemente perché appartenuta a entrambi gli autori di AIDM; la 883 da flat che pare fatta di corten tanta è la ruggine che la tiene insieme e che non è mai stata più lavata dopo l’ultima gara vinta sotto l’acqua, a rischio di diventare un oggetto di arredo; la Guzzi 1000 Convert che si avvia al milione di km, mantenuta non restaurata che apparteneva a un vecchietto del paese che ci andava a fare l’orto tutti i giorni con le cassette di plastica sul portapacchi fatto di tubi Innocenti, poi reclutata dal giovane stilistico e un po’ costruito con abbigliamento vintage per andare a fare l’aperitivo o alle parate dei gentlemen.

La moto Camp è la moto da portare in fondo, che va, ma non merita di spenderci soldi per rimetterla a modo, e continua a portarti a giro.

Ovviamente anche nel campo dell’arredo moto si può scadere nel trash, nella spazzatura o più generalmente nel cattivo gusto: la maxienduro non più freschissima agghiddata con frecce e specchietti in similcarbonio; la carenata spogliata, senza altre finiture con tubi e componenti non gradevoli lasciati ignudi, a vista, o peggio tenuti assieme col nastro americano; la custom dove le antiche cromature sono state sostituite da innumerevoli bolle di ruggine e riverniciata a bomboletta. Semplicemente per cercare un triste riadattamento alle mode che quasi sempre risulta malriuscito, malconcio, degno di essere apostrofato come “un quarto al cassonetto dell’indifferenziato”.

In genere quello che è superato dalla moda in altri campi può tendere alla spazzatura: le stampe senza cornice similamericano anni ‘50 che arredano gli studi dentistici; gli indumenti multispallini a cipolla (camicia, giacca, cappotto) che si sovrappongono; gli acetati o i pile che abbiamo esaurito a passeggiare col cane nel bosco o abbiamo elargito ai bidoni della Caritas. Ma già in quest’ultimo caso un bel giorno il tu figliolo ti si presenta tutto orgoglioso con una maglia degna di un campo profughi bosniaco acquistata su Vinted e ti fa capire che alla fine quei pantaloni tutti rappezzati che ti eri autoinflitto strusciando e consumando il tessuto con un coltellaccio da bistecca trent’anni prima, alla fine potevano anche fare felice la nuova generazione, se non li avessi adoprati per asciugare l’olio sotto al Guzzi V10. O la maglietta del Fauno, storico pub fiorentino, gloriosamente conquistata con la tessera a punti dopo le prime 50 birre, mai più ritrovata e mai abbastanza rimpianta.

Nel campo moto è sicuramente lo stesso. Il riuso, la riscoperta, il gusto del vintage è ancora più a breve termine; e come l’obsolescenza della tecnologia, acuita recentemente dallo sviluppo dell’elettronica e delle normative antinquinamento, così il corso e ricorso del gusto ha cicli anche più brevi che nelle altre mode. Un bicilindrico raffreddato a olio di una decina d’anni fa diventa un oggetto di culto, perché ci si ricorda di quanto ci faceva godere; una mono dual considerata una vecchia carretta acquista quotazioni di mercato imbarazzanti; il segnale che il marketing di una grandissima azienda riscopra il supermotard ben quindici anni dopo la perdita di interesse del pubblico può diventare il motore della corsa all’acquisto di ogni Duke 640 color verde pisello presente sul marketplace di Feisbuk.

Il Camp è il trash che diventa stile, orgoglio di esibire che implica la domanda “perché non sono come loro?”

Usare una moto vecchia allo sfinimento, non solo per ragioni economiche ma perché a guardarla evoca imprese gloriose, fosse anche solo un Multistrada 1000 pieno di graffi e ossidazioni e andare fiero dei segni e della vecchiaia. Questo è il Camp.

Il problema è riuscire a non superare la sottile linea rossa che separa il cattivo gusto, la treshata, l’accrocchio inguardabile con la citazione, la celebrazione, la memoria e il recupero di un qualcosa che si è amato o che altri hanno intensamente vissuto collezionando storie da raccontare.

A volte, va detto, col rischio di non scrivere la propria.

Il limite fra il trash e il camp è quindi molto difficile da stabilire, ma potremmo infine sentenziare che finché un oggetto riesce a mantenere una certa funzionalità, possiamo anche considerarlo come Camp, con una sua dignità e senso estetico. La finta carena del KLR 650 prima che divenisse Tengai, il doppio faro giallo dell’XL 650 dell’Acerbis, lo scarico sottomotore QD del GS 1100, sono tutti particolari a suo tempo al limite del trash, pronti a fare la felicità di un amante del Camp. E non siamo entrati nella sfera dell’abbigliamento, ancora più vasta.

Se la moto coperta di ruggine ha la sola funzione di essere esposta in una vetrina di un negozio di arredamento fra camicie e jeans costosi, è un quarto al cassonetto. E ci dispiace tantissimo quando le vediamo.

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