Almanacco oltranzista

di Kiddo & Ruggeri

Vecchi, oltranzisti!

I vecchi si comincia ad apprezzarli, o quantomeno non disprezzarli così tanto, solo quando ci si accorge che prima o poi diventeremo come loro, o che i prossimi saremo noi.

Arriva un momento, più o meno l’età di adesso degli autori di AIDM, in cui si ha una visione dalla vetta, dalla sommità di una curva ascendente e poi, inevitabilmente, discendente, della propria esistenza.

Dell’esperienza: accumulata e accumulabile, che si capisce non infinita ma ampliabile secondo volontà, forza ed energia, impegno, tenacia e curiosità verso le cose del mondo. E culo. Dello scorrere del tempo: inesorabile ma non necessariamente nemico se affrontato in maniera matura. Che non include, ovviamente, tingersi i capelli. Della salute: mentale alla ricerca di un equilibrio difficile e continuo fra il lavoro, che rischia di diventare una droga capace di fagocitare tutto il tempo a disposizione a discapito di famiglia, amici e svago, che sono invece le cose fondamentali per la felicità di una persona; e salute fisica, importantissima, tanto da essere preservata come un bene essenziale per iniziare la discesa nel migliore dei modi ma soprattutto non nostra proprietà, o almeno non soltanto, poiché saranno le persone vicine che dovranno assisterci se dovesse venire a mancare. Insomma, da malati, si rompe altro che ‘hoglioni.

Il vecchio Motociclista è quello un pezzo avanti nella discesa, lo vediamo che continua ad andare, complice senz’altro la discesa, e in buona misura lo invidiamo, consapevoli che tutti i calcoli di cui sopra li ha già fatti, ma non può che essere felice di avere tempo, energia e curiosità per continuare a fare quello che più gli piace, ovvero stare in sella alla moto, continuare a esplorare posti nuovi, magari guidato da qualcuno più giovane che, animato dalla sacrosanta voglia di scoprire nuove strade e condividerle, se lo porta dietro. Il vecchio è un po’ una palla perché a volte devi aspettarlo quando vuoi divertirti in banda e temi che ruzzoli sul salitone fangoso, o sul Passo di pedina quando perdi la sensazione del peso e ti sembrava di volare: non vuoi perdere il ritmo e pensi “ma se stava a fare l’orto”, e invece poi lo vedi che durante la giornata ti raggiunge sempre prima, fino a che non capisci se è lui che ha preso il ritmo o sei te che stai inevitabilmente crollando.

Il vecchio gioca tutto sulla costanza di rendimento. Parte piano e arriva piano, ha mestiere, conserva le energie, e ti fotte nel finale. È la dimostrazione vivente, consolante per molti versi, che quella voglia inesauribile di stare in sella è proprio tale. Cambieranno i modelli, diventeranno unicamente di un tipo solo, il bicilindrico frontemarcia che “lo vuole il mercato”, e te che ti domandi esattamente “quale?!”, ma il Vecchio si adeguerà. Ha guidato qualsiasi cosa del resto, dal trial alle quattro cilindri supersportive, dai bombardoni supermoto ai moderni elettrodomestici ipertecnologici, ma lui non scenderà dalla sella.

I Vecchi si commuovono, si emozionano quando arrivano in un posto particolarmente bello, e sai che sapranno apprezzarlo maggiormente dei più giovani, confrontandolo con un’infinità di altri luoghi meravigliosi conquistati in sella alla moto; non hanno fretta di ripartire perché devono fare innanzitutto pipì. I Vecchi sono anche quelli che ti danno più soddisfazione, soprattutto quando pronunciano la frase “qui ci devo tornare con mia moglie”, la compagna di un’infinità di viaggi, in quel momento a preparare le lasagne per i nipoti che vengono a pranzo. E capisci che quel posto allora ha davvero qualcosa di speciale.

I Vecchi, fino a poco tempo prima, camminavano come dei missili ed era un casino stargli dietro; poi, o hanno battuto qualche musata soda in terra e si sono resi conto del discorso della salute di cui sopra, con relativa fetta di merda da parte dei familiari, neanche fossero dei bambini; oppure hanno iniziato a rendersi conto dei pericoli e hanno chiuso un quartino di gas, cosa che li ha ricondotti giustamente nel loro box di Vecchi Oltranzisti.

Il Vecchio Oltranzista è in realtà amato, ammirato, rispettato, considerato e soppesato gravemente quando emana qualche verdetto tecnico nelle chat o la mattina al bar prima di partire; il Vecchio è lo spirito della compagnia, il collante, l’esperienza e il vero amore profondo per ciò che facciamo, per ciò che siamo. È lo specchio del nostro futuro, a volte l’invidia per ciò che riesce ancora a fare nonostante l’età, il timore che non è poi così lontano il tempo in cui saremo come lui, ma anche la consapevolezza che quella passione, quella voglia di esplorare, stare in sella, sentire il vento in faccia, provare l’emozione di partire a scoprire nuove strade, nuovi posti non ci passerà mai. Per fortuna.

Se vi siete riconosciuti in quest’ultima parte, e magari vi siete commossi, siete dei vecchi. E sicuramente domenica uscite in moto.

LA PAURA DELLA MOTO

Almanacco Illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

La moto Camp

La moto è un oggetto da arredare, da personalizzare, da rendere esteticamente e stilisticamente congrua e coerente, anche, ma non solo, in relazione alla funzione che deve svolgere.

La Moto Camp è, nel campo dello stile, della moda, il superamento della funzione ma anche della definizione di trash, spazzatura, per far diventare un ferro rugginoso un mezzo, per citare Virzì, “elegantemente allezzito”; qualcosa di vissuto intensamente ma che proprio in funzione di questo ancora più affascinante.

Il Dominator con la carena tenuta insieme dai rivetti che diventa un orgoglio di stile e di vita vera vissuta, semplicemente perché appartenuta a entrambi gli autori di AIDM; la 883 da flat che pare fatta di corten tanta è la ruggine che la tiene insieme e che non è mai stata più lavata dopo l’ultima gara vinta sotto l’acqua, a rischio di diventare un oggetto di arredo; la Guzzi 1000 Convert che si avvia al milione di km, mantenuta non restaurata che apparteneva a un vecchietto del paese che ci andava a fare l’orto tutti i giorni con le cassette di plastica sul portapacchi fatto di tubi Innocenti, poi reclutata dal giovane stilistico e un po’ costruito con abbigliamento vintage per andare a fare l’aperitivo o alle parate dei gentlemen.

La moto Camp è la moto da portare in fondo, che va, ma non merita di spenderci soldi per rimetterla a modo, e continua a portarti a giro.

Ovviamente anche nel campo dell’arredo moto si può scadere nel trash, nella spazzatura o più generalmente nel cattivo gusto: la maxienduro non più freschissima agghiddata con frecce e specchietti in similcarbonio; la carenata spogliata, senza altre finiture con tubi e componenti non gradevoli lasciati ignudi, a vista, o peggio tenuti assieme col nastro americano; la custom dove le antiche cromature sono state sostituite da innumerevoli bolle di ruggine e riverniciata a bomboletta. Semplicemente per cercare un triste riadattamento alle mode che quasi sempre risulta malriuscito, malconcio, degno di essere apostrofato come “un quarto al cassonetto dell’indifferenziato”.

In genere quello che è superato dalla moda in altri campi può tendere alla spazzatura: le stampe senza cornice similamericano anni ‘50 che arredano gli studi dentistici; gli indumenti multispallini a cipolla (camicia, giacca, cappotto) che si sovrappongono; gli acetati o i pile che abbiamo esaurito a passeggiare col cane nel bosco o abbiamo elargito ai bidoni della Caritas. Ma già in quest’ultimo caso un bel giorno il tu figliolo ti si presenta tutto orgoglioso con una maglia degna di un campo profughi bosniaco acquistata su Vinted e ti fa capire che alla fine quei pantaloni tutti rappezzati che ti eri autoinflitto strusciando e consumando il tessuto con un coltellaccio da bistecca trent’anni prima, alla fine potevano anche fare felice la nuova generazione, se non li avessi adoprati per asciugare l’olio sotto al Guzzi V10. O la maglietta del Fauno, storico pub fiorentino, gloriosamente conquistata con la tessera a punti dopo le prime 50 birre, mai più ritrovata e mai abbastanza rimpianta.

Nel campo moto è sicuramente lo stesso. Il riuso, la riscoperta, il gusto del vintage è ancora più a breve termine; e come l’obsolescenza della tecnologia, acuita recentemente dallo sviluppo dell’elettronica e delle normative antinquinamento, così il corso e ricorso del gusto ha cicli anche più brevi che nelle altre mode. Un bicilindrico raffreddato a olio di una decina d’anni fa diventa un oggetto di culto, perché ci si ricorda di quanto ci faceva godere; una mono dual considerata una vecchia carretta acquista quotazioni di mercato imbarazzanti; il segnale che il marketing di una grandissima azienda riscopra il supermotard ben quindici anni dopo la perdita di interesse del pubblico può diventare il motore della corsa all’acquisto di ogni Duke 640 color verde pisello presente sul marketplace di Feisbuk.

Il Camp è il trash che diventa stile, orgoglio di esibire che implica la domanda “perché non sono come loro?”

Usare una moto vecchia allo sfinimento, non solo per ragioni economiche ma perché a guardarla evoca imprese gloriose, fosse anche solo un Multistrada 1000 pieno di graffi e ossidazioni e andare fiero dei segni e della vecchiaia. Questo è il Camp.

Il problema è riuscire a non superare la sottile linea rossa che separa il cattivo gusto, la treshata, l’accrocchio inguardabile con la citazione, la celebrazione, la memoria e il recupero di un qualcosa che si è amato o che altri hanno intensamente vissuto collezionando storie da raccontare.

A volte, va detto, col rischio di non scrivere la propria.

Il limite fra il trash e il camp è quindi molto difficile da stabilire, ma potremmo infine sentenziare che finché un oggetto riesce a mantenere una certa funzionalità, possiamo anche considerarlo come Camp, con una sua dignità e senso estetico. La finta carena del KLR 650 prima che divenisse Tengai, il doppio faro giallo dell’XL 650 dell’Acerbis, lo scarico sottomotore QD del GS 1100, sono tutti particolari a suo tempo al limite del trash, pronti a fare la felicità di un amante del Camp. E non siamo entrati nella sfera dell’abbigliamento, ancora più vasta.

Se la moto coperta di ruggine ha la sola funzione di essere esposta in una vetrina di un negozio di arredamento fra camicie e jeans costosi, è un quarto al cassonetto. E ci dispiace tantissimo quando le vediamo.

A OGNUNO LA SUA MOTO

Almanacco illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

A ognuno la sua moto

Si fa presto a dire “moto”. Anche all’occhio del più vile dei profani risalterà all’occhio molto chiaramente la diversità di forme, colori, dimensioni, stili delle motociclette radunate in un piazzale su un Passo d’estate.
Anche se fossero tutte di un raduno della stessa marca e modello probabilmente si farebbe molta fatica a trovarne due perfettamente identiche, anche senza sconfinare nello sconfinato universo delle personalizzazioni, customizzazioni, che terremo presente come una infinita appendice al ragionamento che ci apprestiamo a fare in questa pagina di AIDM.
Le Case motociclistiche sembrano impegnate nell’eterna lotta di differenziare, colorare, evolvere ciascun modello, che spesso non dura in catalogo più di una stagione con la stessa “taratura delle sospensioni” (che non significa in effetti un cazzo, qualora ve lo siate mai chiesti), con le stesse dotazioni o addirittura cilindrata; quasi che ad ogni Motociclista si voglia offrire la moto sviluppata personalmente per lui.
Dice questa moto per chi l’avete pensata?! Per Marco, lui! E Marco si sente tutto felice di avere la SUA moto, proprio di quel colore, quell’anno, quella cilindrata, quella taratura delle sospensioni…
Ovviamente scegliere una moto è un atto condizionato da diversi fattori. Statisticamente sopravvive ancora quello che non ci capisce una mazza. Entra dal concessionario dove è sempre andato, trova un cancello in offerta, è la sua! Ed esce più felice di Marco. Te sei l’unico Motociclista che conosce, e benché ti debba 7.000 euro e non risponda mai al telefono ti chiama e ti dice “ho comprato la moto” “che moto è?” gli chiedi un po’ ingenuamente. “Non lo so era in offerta”.
Il vero paradigma per la scelta della moto giusta è ovviamente l’uso che si intende farne. Ovvero, si può anche pensare di andare a fare cross, ma con una roadster si deve essere davvero bravi per provarci. Non che qualcuno non ci riesca, ovvio, ma scegliere un modello adventouring, per esempio, in base alle proprie capacità e che abbia le caratteristiche giuste quali comodità, potenza, peso, erogazione, dotazione elettronica ma soprattutto costo giusti non è semplice. Se si pensa che ci dovremo anche andare a lavorare durante la settimana, sarà ancora più difficile, senza considerare la scelta della gomma giusta: pensare di avventurarsi in tangenziale con un tassello peso la mattina che si inizia il turno alle 6 mentre piove, non è consigliabile. Uno dei fattori maggiormente condizionanti da sempre è il fattore F. Potreste aver messo gli occhi addosso alla più incredibile delle creature a motore tipo una HP2 uscita di vetrina a 5.000 euro, se la donna non ci sta comoda potete anche mangiarvi il cilindro ma in garage non la metterete mai. Anche in questo caso con le dovute eccezioni. Non sono rari i casi di coppie che giravano l’Europa in tempi in cui non si aveva tutti sti bisogni da fighette tipo rimanere immuni dai reumatismi oltre i 35 anni o evitare di ustionarsi con lo scarico a ogni viaggio, e si andava in Scozia in due, in tenda, con l’851; o in Portogallo, sempre in coppia, con mezza sella di un Superténéré 750 (caso personale).
Al fattore uso che si intende farne si somma il più insidioso, ovvero il consiglio degli amici. Si può rischiare di rimanere invischiati in una Chat di Uozàp per decenni con un branco di più o meno sconosciuti che elargiscono consigli seduti sul cesso col telefonino in mano senza prendere una decisione. “stai scherzando?! Una GS 1200 con 24.000 km, ma del 2013? lo sai che le prime avevano questo e quello…” e te ovviamente desisti, anche perché ogni moto, ogni modello, ogni colorazione potrà essere criticabile e gli “amici” sapranno darsi il cambio sulla tazza del cesso per regalare consigli (quasi sempre non richiesti). “Una Buell?! Ma sei pazzo?! Lo sai che non si trova più niente di pezzi? E poi che diavolo te ne fai?!” E in effetti trovare una risposta a questa domanda non è facile. Poi invece una mattina vai lì coi soldi in mano perché sei felice che il tipo dei 7.000 euri ti ha pagato, incredibilmente, e la Buell te la metti in garage lo stesso, ci esci tre volte l’anno ma quando la accendi e pensi che cavolo l’emozione che ti regala quel cancello non te l’ha mai data nessun frullatore, e se rimango a piedi ci rimango felice lo stesso perché so che me la sono cercata ma fino a quel momento cavolo se ho goduto!
Ed è in quel momento che capisci che non è tanto importante l’uso che ne dovevi fare, se andava meglio una taratura delle sospensioni o un’altra (che davvero non avresti saputo riconoscere la differenza neanche se le avessi provate in rapida sequenza) ma è la libidine che ti ha dato quella moto a essere importante, e che la moto giusta non era quella che gli amici pensavano fosse quella giusta per te, che se avessi preso l’Himalayan “così magari vai a farci un po’ di sterrati” non ti avrebbe reso altrettanto felice delle Kawa 300, che ti ha preso occhi e cuore semplicemente perché è verde, e nessun’altra ti è rimasta così nel cuore. La amerai e sarà quella giusta per te.
La moto, è bene comprare quella che ci piace; non quella che gli amici, il marketing, la funzionalità (tutta da dimostrare) dicono che sia la migliore per noi.
Difficilmente ce ne potremo pentire.

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FOTO & MOTO

Almanacco Illustrato del Motociclista

Di Kiddo & Ruggeri

I giri vanno, le foto restano

Una delle problematiche più importanti e gravose del nostro tempo, è sicuramente quella del Motociclista che non si ferma mai.

La moto, soprattutto se divertente, emozionante, libidinosa per prestazioni, erogazione del motore, fichitudine in generale è un mezzo di trasporto (almeno la definizione del cds sarebbe quella, incredibile ma è così) che molto spesso ci fa desistere dalla sosta. Il bello della moto spesso è andare, lasciare libero l’istinto del gas, continuare a pennellare la serie di curve sulla panoramica che sale sul Passo, restare coinvolti nella concentrazione di guida su quelle serpentine strettissime fra le gole di roccia di un orrido meraviglioso, non perdere il ritmo della sterrata bianca dove si pennella col posteriore che derapa leggermente e ci fa chiudere meglio e prima la curva. A volte, si lascia anche spazio alla visione perimetrale, all’istinto, a quella impressione comune ai videogiochi dove lo sfondo è spesso bellissimo, su strade costiere o di montagna epiche, ma lo si intuisce appena, presi dalla foga della corsa e di dare le sportellate agli altri concorrrenti.

E non è assolutamente detto che si debba correre, mentre siamo magari in compagnia di amici per formare un trenino (che, detto per inciso, può rimanere il modo peggiore di guardarsi realmente intorno), molto spesso si continua ad andare semplicemente per ignoranza di ciò che si sta attraversando, o perché siamo a fare un giro in moto, mica la visita a un museo.

Il Motociclista mette delle bandierine, idealmente, ma non dubitiamo che qualcuno lo faccia davvero su una cartina in salotto di quelle che si grattano, e dice quel posto? Fatto. Il Verdon? Fatto. Il Maniva, l’Eroica, l’EroTica, l’ESoTica, il Marocco, la Tunisia (michia, tutto il Paese?! Bravo cazzo), Capo Nord, lo Stelvio, fatto, fatto, fatto, tutto fatto.

Magari ogni tanto ci scappa la foto, giusto per testimoniare l’effettivo passaggio della frontiera o in parcheggi anonimi o strade in mezzo al niente, che si potrebbe averle scattate a dieci chilometri da casa e non si capirebbe la differenza, ma sono geotaggate in posti esotici. Siamo in Romania! Bravo bischero. Ma cosa ti ha dato quel viaggio, come sei tornato arricchito dall’esperienza?! Quanta storia, quanta cultura hai avuto l’opportunità di confrontare?!

Spesso si viaggia in moto per il brivido o l’emozione di scoprire posti esotici, paesi lontani, vissuti diversi e si ha la possibilità di farlo da privilegiati, da quelli in transito su un mezzo elitario ma non si ha reale coscienza di quello che ci circonda. Probabilmente cercare una vera avventura a migliaia di chilometri di distanza non è molto diverso dallo scorrazzare nelle strade vicino casa.

La vera scoperta probabilmente è possibile se sulla strada panoramica che sale sul Passo ci si ferma un attimo, ci si informa sul territorio, sulla storia, sui collegamenti geografici che potrebbero portarci a porre delle domande anche sul prossimo giro; se ci si ferma nel paesino e si prende il tempo di fare due chiacchiere con la gente del posto, o se mentre siamo all’evento con 450 partecipanti si chiude due minuti il gas quando si attraversa il Teatro del Silenzio, per dire, e si lascia spazio alla suggestione che un luogo del genere può regalare. E magari chiedersi perché si chiama così, chi l’ha pensato, cosa ha di particolare.

A volte si rimane stupiti dal racconto di organizzatori di eventi agonistici tipo motorally che vedono alcuni partecipanti senza grosse velleità di classifica fermarsi in punti particolarmente panoramici a fare le foto, tanto sono belli i luoghi che attraversano, e viene da pensare se il mototurista non sia un Motociclista con una classifica immaginaria fatta di bandierine da appiccicare alla quale è in qualche modo legato e non lo faccia diventare un agonista ancora più obbligato a passare oltre, ad andare, a raggiungere la prossima meta.

È ovvio che non siamo tutti uguali, che alcune persone sono naturalmente più curiose e altre meno. Che qualcuno deve assolutamente fermarsi per vedere come è fatto dentro, il bunker vicino a Panna e per tanti altri conta solo poter continuare il giro, che il tempo a disposizione è sempre poco. Ma l’impermeabilità, il lasciarsi scorrere addosso cultura, storia, geografia, il perché e il percome porta sicuramente solo a un generico “andare” che in effetti non ha molto senso. Sarebbe meglio cercare di assomigliare a delle grosse spugne, che si zuppano d’acqua quando piove visto che siamo in moto, e il nostro mezzo di trasporto ci consente, anzi ci obbliga a una immersione totale nel territorio. Se non ci si ferma mai a chiedere, assaporare, capire, tanto varrebbe continuare a fare il videogioco.

Oppure, per usare un mantra tanto caro a #quellochedisegna, “i giri passano, le foto restano!”

Bagagli e come fermarli

Almanacco Illustrato del Motociclista

di Kiddo & Ruggeri

Legare i bagagli

Una delle operazioni più impegnative e ardue che il Motociclista dovrà affrontare nel corso della sua formazione, che come già accennato svariate volte su queste pagine, può durare tutto il tempo passato in compagnia dell’amato ferro dai primi vagiti a due tempi e fumo azzurrognolo agli ultimi scoppi del Lanfranconi sfondato dalla ruggine; ma a noi ci tocca ripeterle perché siete degli zucconi, altrimenti col cavolo preferireste andare in moto anche d’estate con 45 gradi all’ombra dentro a tute che potrebbero essere usate per la cottura a vapore senza neanche accendere il forno e senza perdere tutti i preziosi micronutrienti come scorie di cadmio, ortensio e parti plastiche di carte di credito, oltre a diversi altri metalli pesanti. Dicevo una delle operazioni più importanti lo vedete mi fate perdere il filo del discorso e basta fare casino là in fondo; Marchi smetti di tirare le palline di carta bavosa con la cerbottana fatta con la Bic nella cesta di capelli della Forlai, tanto non ti caca

Una delle operazioni più impegnative grazie Viciani ti metto un più è sicuramente la sistemazione del bagaglio della moto. Ora lo so che dobbiamo sempre partire dalla storia, per capire come si è arrivati alla condizione attuale di borse scatolate di alluminio che fanno somigliare le moto a delle portacontainer piuttosto che a delle eleganti e filanti opere d’arte su due ruote. E non è solo perché ormai ci si è fatto l’occhio che si pensa che non siano poi così orribili, ma perché questo tipo di borse consentono una certa sicurezza nel fissaggio, che deve rimanere il primo obiettivo. La pericolosità nel perdere per strada un bauletto mal fissato per le strade di Budapest, che vi supererà sull’altra corsia senza neanche salutarvi, non sta soltanto nel non tornare a casa col bagaglio stesso, ma perché diventerà un ostacolo improvviso per chi vi segue.

Il bagaglio e la sua sistemazione su un oggetto che per definizione non dovrebbe vederne neanche uno è stato da sempre sinonimo di accidenti dei più varii. Ovvero ad ogni tentativo di corretto e scrupoloso fissaggio sono corrisposti decine di relativi fallimenti catastrofici. Non dovrete quindi meravigliarvi se ogni aneddoto potrà suonare come un caso reale di vita vissuta, perché ogni Motociclista avrà un’infinità di casistiche da narrare.

Si va dal più classico “ragno”, che abbiamo avuto già occasione di elogiare e che rimane un po’ il miglior amico del Motociclista, ma che va tenuto lontano dallo scarico perché non si sciolga, e non assicura che il peso eccessivo della borsa la faccia pendere e/o precipitare verso un lato. Stesso discorso per “bruci” o cordami vari come le più recenti high tech che consentono un fissaggio eccellente, ma che a volte sono talmente high tech che non si riesce a capire come diavolo funzionino, salvo stringere a morte la plastica del codino e perderla a pezzi sul Passo degli Acandoli, con relative bestemmie. Il problema maggiore con un bagaglio morbido da fissare sul portapacchi, se la moto ne ha uno e aiuta moltissimo il fissaggio, oppure nel caso senza speranza della sella della moto come una scrambler, rimane nel fatto che il materiale contenuto continua a spostarsi all’interno, rendendo praticamente superfluo lo stringere a morte la borsa. È definita dagli esperti la “sindrome della ciabatta che cammina da sola”.

Meglio cercare dei punti fissi della borsa e legare quelli a parti fisse della moto, senza dare alle cinghie la possibilità di scorrere. Fra queste, sono da evitare quelle a “cricchetto” per l’eccessivo ingombro della parte in metallo che potrebbero avere lo stesso effetto del grattugione dell’Ikea sull’alcantara della sella, mentre quello con la fibbietta di metallo a molletta sono ottime, ma è indispensabile fare un nodo subito dopo la fibbia altrimenti la cinghia perde motivazione e torna indietro.

Dopo aver trascorso buona parte del proprio transito terreno nel tentativo di legare una borsa sulla sella, il Motociclista si rassegnerà finalmente a farsi una moto seria, con le borse vere. Purtroppo il bauletto rimane un’abitudine tanto comoda quanto inaffrontabile esteticamente e dinamicamente (cfr “Il bauletto” AIDM Volume Primo ED Motoabbigliamento.it), e rimarrà un’abitudine dura a morire.

In verità, se le borse di metallo sono state, e forse lo sono ancora, il sinonimo stesso del bagaglio avventuroso, studiate in modo da non rompersi sfondandosi in caso di urto come quelle in plastica, dall’aspetto più solido, dalla serratura non integrata a prova di polvere e che non si blocca per un po’ di breccino volato dalle avventurose strade norvegesi come quelle delle elegantissime borse high tech “integrate” nella linea della moto e verniciate in tinta, tanto da chiedere aiuto a dei turisti finlandesi con lo stesso modello, uno dei quali si allontana dal gruppo armato di coltello tanto da farci temere per la nostra incolumità, salvo cacciarlo nella serratura della vostra borsa per liberare finalmente il bagaglio di vostra moglie, includente biancheria intima e un paio di zoccoletti in corda col tacco di legno di 5 kg cadauno.

Anche le borse di metallo, in caso di caduta, possono ammaccarsi o rompersi anche se i costruttori assicurano che sarà sufficiente qualche bottarella per metterle perfettamente in dima. A noi rimane il dubbio sulla effettiva riuscita dell’operazione, e probabilmente il miglior bagaglio di questo tipo rimane la borsa morbida laterale magari combinata ad appositi telai in ferro. Ma chiaramente ognuno avrà fatto tesoro della propria esperienza, e poiché siamo tutti dei gran zucconi, finché non ci abbiamo battuto il capo, continueremo nei nostri tentativi.